Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
12 dicembre 2016

Mattarella ha scelto: tradito ancora il popolo italiano

Chapeau! Il Presidente Mattarella è riuscito nella difficilissima impresa di svilire la volontà elettorale dei cittadini. Questa è la quarta volta consecutiva in cui un Presidente della Repubblica assegna l'incarico di premier a un soggetto non investito dal consenso degli italiani.

Sia ben chiaro: il problema non è se Gentiloni piaccia o meno, ma è il dimenticarsi che la sovranità spetta al popolo e non all'inquilino del Quirinale. Tutto è stato fatto seguendo formalmente la Costituzione, ma tradendo il senso stesso della Carta fondamentale.

Troppe volte dall'inizio della Seconda repubblica abbiamo visto la più alta carica dello Stato armeggiare sui governi, mettendoli in difficoltà o facendoli addirittura cadere per poi costruire all'interno del Parlamento maggioranze improbabili, quasi sempre governi di centrosinistra puntellati da paletti fuoriusciti dallo schieramento avverso. Mattarella prosegue nel solco tracciato dal recordman della specialità, Giorgio Napolitano, e senza neppure ipotizzare la durata del prossimo governo. Cominciamo bene. La decisione del Presidente della Repubblica non può che spaventare quel 60% di elettorato che ha mostrato in modo inequivocabile il proprio rifiuto verso il modo di concepire la politica del premier uscente Matteo Renzi. Sentendosi tradito per l'ennesima volta, il popolo italiano farà crescere quella rabbia e quel rancore che gli opinionisti più quotati e i pensatori più illustri disprezzano con tutte le forze.

Certo, bisognava dare stabilità al Paese; beninteso, era nelle prerogative del proprio incarico non sciogliere le Camere; chiaro, la legge elettorale e gli appuntamenti internazionali necessitano di una qualche guida. O magari questo governo serve, già che ci siamo, a salvare una banca molto vicina al Partito Democratico: ma questa è un'illazione gratuita, non facciamoci condizionare. La realtà dei fatti è che se le consultazioni fossero state concentrate sul tipo di sistema elettorale che si vuole dare all'Italia in soli due mesi, o forse anche meno, una legge elettorale si poteva fare. E proprio Mattarella avrebbe potuto farsi carico delle incombenze internazionali: in due mesi quanti summit di rilievo mondiale ci potranno mai essere?

Il Presidente ha scelto invece una strada tutta in salita, che fissa troppi traguardi: ricostruzione post sisma, appuntamenti internazionali, legge elettorale, per giustificare un governo che cercherà di rimanere inchiodato alla poltrona fino al prossimo autunno, come minimo. Poi magari non andrà così, ma quando sai che a settembre i parlamentari matureranno il diritto alla pensione, un quesito scomodo te la poni.

Che strana l'Italia: basta appena una settimana per chiudere in un cassetto il 60% di elettori, derubricandolo a mero incidente di percorso. Mattarella comunque non potrà dire che Gentiloni goda dell'appoggio di una qualunque maggioranza che si formi in base all'esito delle elezioni 2013.

Ci si domanda allora come mai — visto il cambio di aria prospettato dal risultato del referendum — non si sia provveduto a chiedere ai soggetti politici che di fatto compongono quel 60% di assumere il ruolo di traghettatori per un governo di scopo, con l'unico obiettivo della legge elettorale. Una legge che potrebbe essere approvata in pochissimo tempo, se si ha la volontà politica di farla a tutela di tutti e non di un solo partito. Il "contratto sociale", che dovrebbe stare alla base di un qualsiasi governo democratico, è stato stracciato da troppo tempo, e prima ancora che dalla classe politica è stato violato da una certa élite culturale, quella che aspira agli ideali dei grandi filosofi solo quando serve a portare acqua al loro mulino. Sono quelli che una volta gridavano all'infallibilità della sovranità popolare e che ora la disprezzano e la osteggiano. Sono i sedicenti intellettuali che invece di provare a comprendere da dove nasca il malcontento, cercano di metterlo a tacere con le solite accuse di razzismo, complottismo, ignoranza, egoismo, voto di pancia, voto populista, eccetera.

Ormai se ne potrebbe fare un elenco da antologia, dopo che il copione sui mass media è stato il medesimo per i tre eventi fatidici del 2016: Brexit, Trump, No. L'élite culturale, ben foraggiata da quella finanziaria, pensa sempre di avere in tasca le verità assolute, senza accorgersi che non sono verità buone nemmeno per la gestione di un condominio.

Così, alla fine si arriva al paradosso: l'alleato principale degli elettori del No è Matteo Renzi, l'unico nel Partito Democratico ad aver interesse al voto immediato, per capitalizzare quel 40% di Sì incentrati sulla sua persona o comunque sulla sua volontà riformatrice. Sicuramente non si ritirerà dalla scena politica, anche se lo ha promesso pubblicamente. Lo si intuisce da quelle inusuali consultazioni avvenute a Palazzo Chigi per parlare con i suoi ministri, quando si cercava di trovare il miglior traghettatore da immolare al Presidente della Repubblica. Staremo a vedere.

di Marco Fontana - Pubblicato da Sputnik Italia
 
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