Inchiesta - Rom: un altro salasso per i torinesi
Il Comune di Torino è, come si diceva un tempo, “in bolletta”. Non esistono infatti settori nei quali non si sia abbattuta, inesorabile e chirurgica, la scure dei tagli. Non fanno eccezione neppure quelle politiche che fino a qualche tempo fa risultavano essere intoccabili per la ‘sensibilità’ del centrosinistra: si pensi alle politiche sociali, alla solidarietà, all’inclusione, all’accoglienza. Eppure resistono ancora dei centri di spesa all’interno delle pieghe del bilancio torinese. Tra questi spicca certamente quello della gestione dei campi rom dove non si spenderanno centinaia di milioni di euro, ma per la cura dei quali comunque continuano ad essere sborsate ingenti somme di denaro pubblico. Sempre che due milioni di euro possa essere considerata una ingente somma di denaro.
Ad oggi a Torino esistono quattro aree di sosta nomadi autorizzate, (quelle di via Germagnano, corso Unione Sovietica, via Lega e strada dell’Aeroporto) ad esse però vanno aggiunte quelle abusive: circa una decina che spuntano come funghi nelle periferie della città, crescendo come delle vere e proprie bidonville nostrane nella più totale mancanza d’igiene, di regole, di rispetto della legalità. Ogni anno secondo i ben informati, solo per i campi rom riconosciuti, l’amministrazione comunale investe 260mila euro per la loro manutenzione e paga per tre di essi 28mila euro per l’acqua e l’illuminazione pubblica (su Strada dell’aeroporto non ci è dato sapere i costi visto che sono state registrate delle disfunzioni nell’acquedotto e quindi le perdite hanno influito sui costi). Le spese delle utenze domestiche personali da quanto sostenuto dagli uffici è regolamentata da apposito contatore e quindi è regolarmente pagata dai singoli nuclei famigliari, eccezione fatta per alcuni furbetti che si allacciano a utenze altrui: ma su questo punto tutto il mondo è paese. A queste cifre va aggiunto il costo della raccolta rifiuti: solo in via Germagnano da quanto è dato sapere la bonifica dell’area a marzo dello scorso anno era costato 170mila euro, a questi soldi però vanno aggiunti quelli che sono stati sostenuti dalla Città per ripulire ricordare le oltre 1073 tonnellate rinvenute nei pressi del campo di Lungo Stura e i costi che le associazioni private che collaborano con i servizi sociali sostengono per mantenere un certo decoro all’interno dei singoli campi regolari. Insomma un conto salatissimo sia dal punto di vista economico che sotto il profilo dell’igiene pubblica: da non sottovalutare poi i danni materiali e biologici che subiscono gli operatori Amiat che sempre più spesso vengono fatti bersaglio di improvvisate sassaiole da parte degli ospiti della aree di sosta quando si avvicinano per fare solo il proprio lavoro.
Oltre a questi costi si aggiungono quelli dei molti ragazzi che giustamente frequentano le nostre scuole: in questo caso si parla di 482 bambini nelle scuole elementari e medie. Contando che secondo le recenti statistiche il sosto salariale per studente è pari a 2.876 euro; l’istruzione obbligatorio verso i giovani rom costa ai contribuenti italiani 1milione e 386mila euro. Una somma sicuramente dovuta se solo la scuola non tendesse ad espellere il più presto possibile questi ragazzi invece di formarli come si apprende da fonti interne alla comunità rom.
Insomma, fatti due calcoli, la gestione dei campi rom regolari a Torino pesa per oltre 2milioni di euro tra servizi educativi, bonifiche igieniche, raccolta rifiuti, bollette per l’illuminazione e l’acqua pubblica. Non è invece dato sapere quanto gravino sulle tasche dei contribuenti i centri spontanei, i quali risultano essere delle vere e proprie zone autogestite fuori da ogni controllo. Seppure discutibile nulla ci sarebbe da dire se questo denaro servisse almeno a garantire un’ospitalità civile… ma così non è, chiunque abbia visitato una di queste aree in questo ultimo anno e mezzo, dal vescovo Monsignor Nosiglia a vari esponenti politici di destra e di sinistra, lancia la medesima denuncia: “trattasi di veri e propri ghetti, dove donne e bambini vivono in condizioni da terzo mondo”.
Dal canto suo l’assessore Elide Tisi, competente in materia, si trova con le mani legate: “Per creare nuovi campi ci vorrebbero risorse economiche. Invece ho il capitolo di bilancio praticamente con fondi azzerati. Se si escludono gli interventi d’emergenza o straordinari che vengono deliberati dal Comune a seconda delle esigenze del momento non mi è data la possibilità di una adeguata programmazione. Sicuramente avrebbero fatto comodo i cinque milioni di euro che aveva stanziato il precedente Governo, ma la sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto illegittimo la proclamazione dello ‘stato di emergenza’, ha bloccato tutti i nostri progetti. Oltre ai continui tavoli con il Prefetto ho deciso quindi di costituire un Coordinamento politico tra Assessorati per unire le forze e gestire insieme una questione che non riveste solo caratteri di welfare ma che chiama in causa molteplici altre materie: a partire dall’ordine pubblico fino ad arrivare all’istruzione”.