Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
08 ottobre 2013

Trasporti, i 120 miliardi persi per strada dall'Italia

È di queste ore la notizia che in Italia i consumi sono caduti al livello degli anni ’90: è la dimostrazione che il Paese si trova ben lontano da quella ripresa propagandata ai quattro venti. L’Italia è in una drammatica recessione interna: piegata da un’imposizione fiscale che è l’unica leva per ripianare i conti di un’amministrazione inefficiente ed elefantiaca, da una guerra all’evasione fiscale combattuta solo contro chi le tasse già le versa e dal disinteresse verso gli effetti nefasti dei consigli dettati dall’asse franco-germanico.

“La Voce della Russia” parte per un viaggio tra i principali attori della vita economica e politica del Paese, con l’obiettivo di capire come si possa essere arrivati a questo punto.

Oggi parliamo di imprese di autotrasporto. È noto che i costi che queste subiscono si ripercuotono immediatamente sui consumatori. Le diverse forme di penalizzazione che subiscono sono le stesse di altre imprese italiane e talvolta le condividono con i colleghi stranieri: questo doppio svantaggio è il frutto di un approccio “emotivo” alla legislazione, che nel recepire le Direttive europee porta il Legislatore a travalicarne i limiti in peius. Due esempi: le strisce retroriflettenti per i mezzi pesanti e il sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI, entrambi con adempimenti ed obblighi esclusivamente a carico dei trasportatori italiani. Una tale circostanza altera le normali dinamiche concorrenziali e mina sul nascere l’efficacia degli stessi sistemi di sicurezza introdotti.

Nel 2012, un’indagine del Comitato centrale dell’Albo degli Autotrasportatori ha evidenzato l’impatto negativo delle inefficienze del sistema italiano di trasporti e logistica sulla competitività delle imprese del settore. In particolare, per effetto del costo elevato di alcune voci (tasse, assicurazioni, carburante, costo del lavoro) e delle bassissime velocità commerciali, le imprese italiane pagano un costo chilometrico medio di 1,579 €, a fronte di 1,455 per l’Austria, 1,407 per la Francia, 1,425 per la Germania, 1,047 per la Polonia, 1,227 per la Slovenia, 1,206 la Spagna, 1,089 per l’Ungheria e 0,887 per la Romania. Il valore italiano risulta quindi superiore quasi del 12% ai costi Francia e Germania, i Paesi con cui il raffronto è più significativo per la competitività delle nostre offerte in ambito europeo; superiamo del 9% e del 29% rispettivamente Austria e Slovenia, che sono le alternative più immediate alle nostre offerte in direzione Est; supera del 42% il costo medio di Ungheria e Polonia, Paesi di quella parte d’Europa di maggiore dimensione produttiva; infine è maggiore del 78% rispetto alla Romania, Paese con il costo minore tra quelli considerati.

Se ci si sofferma sul costo del lavoro, impressiona la penalizzazione sofferta dalle imprese italiane rispetto ai Paesi di recente entrata nell’Ue: su un costo annuale di 100 di un conducente italiano, in Slovenia è 71,2, in Ungheria 54,9, in Polonia 46,5, e in Romania 43. Con gli scenari proposti in Europa di un’ulteriore liberalizzazione dei servizi di autotrasporto, attività che per sua natura può essere facilmente riallocata altrove in funzione di migliori condizioni di contesto, l’Italia rischio seriamente la desertificazione del settore.

Sull’accessibilità dell’Italia dal punto di vista delle infrastrutture, la situazione nel 2012 sembrava migliorata, seppur di poco, rispetto al 2010: purtroppo era solo la conseguenza diretta, perversa e negativa della riduzione dei traffici di passeggeri e merci e delle attività economiche, causata dalla crisi Dunque, meno traffico, meno congestione, ma anche meno benessere. Tra il 2000 e il 2012, la politica del “non fare” che caratterizza i nostri governanti aveva determinato un peggioramento dell’accessibilità pari al 5%. Restano, dunque, confermate tutte le debolezze strutturali del sistema dei trasporti italiano. In base a un’elaborazione dell’Ufficio Studi di Confcommercio, se l’accessibilità fosse rimasta ai livelli del 2000, nel 2012 si sarebbe registrato un Pil più elevato di circa 4 miliardi di euro!

La perdita di accessibilità in questi dodici anni è costata quindi al nostro Paese complessivamente 24 miliardi di euro di Pil, sommando le perdite annuali nell’intero periodo. Da questo punto di vista è impietoso anche il confronto con i principali concorrenti europei, in primis la Germania. Con i livelli di accessibilità tedeschi, il nostro Pil nel 2012 sarebbe stato più elevato di 20 miliardi di euro (+1,3% rispetto al dato effettivo). Se nel periodo 2001-2012 il nostro Paese avesse attuato politiche di miglioramento dell’accessibilità tali da allinearlo ai livelli tedeschi, l’incremento del Pil italiano sarebbe stato di 120 miliardi di euro. Insomma, per fare Pil basterebbe muoversi un po’, ma la classe politica italiana preferisce parlarsi addosso e tramare in crisi di governo grottesche e fratricide.

di Marco Fontana - Pubblicato su La Voce della Russia

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