80 euro bis: il re del bluff ci prova ancora con il Tfr
Non è certo un mistero che l’attuale premier abbia ottime capacità comunicative, sulle quali ha costruito le sue vittorie, prima alle primarie del Partito Democratico e poi alle ultime elezioni europee. E oggi continua a beneficiarne nei sondaggi, nonostante qualsiasi dato sulla situazione economica reale smonti l’efficacia delle sue azioni politiche.

Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente pubblicato una mappa interattiva che ridisegna l’atlante del mondo economico. L’ordine globale è parametrato in termini di prodotto interno lordo a parità di potere d’acquisto e al netto di quella grottesca novità che è stata l’introduzione delle attività illecite. In questa classifica l’Italia è fuori dalle prime dieci posizioni: l’ennesimo fallimento epocale di chi ha tirato i fili dei burattini, siano essi casta politica, sindacale, giudiziaria, dirigente o degli ordini professionali. È chiaro infatti che attribuire solo a una parte la colpa dei problemi vuol dire guardare con superficialità alla sconfitta di uno Stato che per secoli è stato protagonista della civiltà e che oggi si trova nella fase discendente della parabola.
Ed ecco che il presidente del Consiglio, messo alle strette dai suoi stessi fallimenti in materia di riforme e di economia (non da ultimo l’approvazione travagliata del Jobs Act) cerca di tirare fuori l’ennesimo asso dalla manica. Sia chiaro, la sua intenzione è quella di fare propaganda e colpire con slogan a effetto. Così, archiviati gli 80 euro in busta paga, spunta l’idea di dare la possibilità di chiedere che una parte del Tfr, il trattamento di fine rapporto che spetterebbe ai lavoratori dipendenti al termine del proprio contratto, venga inserito in busta paga. Dai calcoli sembrerebbe che il “gioco” valga nuovamente 80 euro. È palese come dopo un provvedimento del genere la buona comunicazione sia bella che servita: sui quotidiani campeggerebbe “Renzi raddoppia gli 80 euro” e partirebbero le mitiche slide renziane da conferenza stampa. Poco importa che in verità quei soldi sarebbero già dei lavoratori e che quindi il Governo non avrebbe alcun merito reale.
Quello che preoccupa sono le criticità che stanno dietro a questa misura, per la quale il cittadino, dovendo effettuare una scelta, deve essere adeguatamente informato delle conseguenze della propria decisione. Ad esempio, oggi la tassazione sul Tfr gode di un trattamento fiscale speciale (23-25%) che rischierebbe, nel caso della richiesta di inserimento in busta paga, di essere aggirato con una perdita secca per il lavoratore, a tutto vantaggio delle casse statali: queste non soltanto prenderebbero in anticipo i soldi della tassazione, ma facendo cumulo reddituale finirebbero per far pagare al cittadino un’imposizione fiscale ben più salata. Senza dimenticare che i lavoratori che possono farsi riconoscere l’attuale bonus di 80 euro rischierebbero, a causa del maggior reddito, di dover poi restituire i soldi elargiti dalla lungimirante generosità del premier.
Ci sono anche dubbi a livello previdenziale e di ottenimento dei mutui. Dal 2007 i lavoratori possono irrobustire la propria dotazione previdenziale facendo confluire il Tfr in un fondo pensione; ad oggi sono stati circa 6 milioni coloro che hanno fatto questa scelta. Peccato però che la possibilità di farsi dare i soldi “tutti, maledetti e subito” rischi di creare un buco nei conti dell’Inps per circa 6 miliardi di euro. E sono molti a ricordare che per l’acquisito di una casa con mutuo le banche si sono sempre regolate in base al principio che l’utente, una volta cessata l’attività lavorativa, utilizzi il tesoretto rappresentato dal Tfr per il pagamento delle rate, compensando in tal modo il ridimensionamento reddituale e i ritardi nell’erogazione della pensione. Chiedendo un anticipo in busta paga del Tfr, queste risorse potrebbero essere ridotte dal 60 fino al 100%. Si comprende quindi come questo intervento possa mollare l’ennesimo ceffone al mercato immobiliare.
Vi sono infine le ripercussioni sulle aziende, in particolare per quelle sotto i 50 dipendenti: per questo il sistema confidunstriale ha mostrato delle notevoli perplessità.
A fronte di zero risultati in termini di lotta all’evasione, spending review, incremento del Pil e della produzione industriale, Renzi sta dunque tentando l’ennesimo bluff: immettere nel portafoglio degli italiani qualche soldo, che sarebbe comunque spettato di diritto, per poter poi dire di aver migliorato il benessere dei cittadini e alleggerito la pressione fiscale. La speranza é garantirsi i voti per le elezioni della prossima primavera, evitando per il momento di affrontare quei nodi fondamentali che sono la pressione fiscale record e la spesa pubblica totalmente fuori controllo.
di Marco Fontana - Pubblicato da VOCE DELLA RUSSIA