- Dietro al peggioramente delle relazioni tra Arabia Saudita e Iran si cela qualcosa in più rispetto alla questione culturale e religiosa?
— Nella storia del mondo tutte le grandi crisi geopolitiche, capaci di coinvolgere e sconvolgere uno o più Stati, sono figlie di gravi crisi economiche. La rivoluzione francese si generò per l'impressionante massa di debiti che Luigi XVI dovette gestire e che erano stati accumulati dai suoi predecessori; la crisi della Baviera fu dovuta alle spese pazze di Ludwig II, che stravedeva per l'architettura e per l'arte; la caduta del Muro di Berlino derivò certamente dalla fine dell'ideologia comunista, ma con causa efficiente non secondaria il prezzo del petrolio arrivato a 9 dollari, che creò pesanti ripercussioni nei rapporti di sussidiarietà tra Mosca e i Paesi socialisti e rese il sistema diseconomico e quindi impraticabile — altro che pressioni dei Paesi occidentali… In Arabia potrebbe essere successa la stessa cosa: visto il crollo delle entrate, alcuni Paesi potrebbero aver deciso di acuire un situazione conflittuale, che a medio termine può produrre un innalzamento dei prezzi del greggio e quindi una soluzione alla loro crisi. E in questi giorni il prezzo del petrolio in effetti è salito.
- Dunque nello scontro attuale tra sciiti e sunniti Lei vede una guerra per l'oro nero?
— Certamente. Le grandi famiglie che monopolizzano il Medio Oriente da oltre cento anni prosperano esclusivamente grazie al fatto di stare seduti su una miniera d'oro nero, cioè i giacimenti di petrolio. Ma adesso hanno compreso che la loro richezza non è immutabile, ma può essere messa a rischio da fattori esterni, tra cui l'elemento tecnologico rappresentato dall'oil & gas shale extraction, un'invenzione dalla portata non tanto dissimile da quella della ruota, e che oggi è una delle principali cause del calo improvviso del prezzo dei prodotti energetici.
- Chi utilizza questa nuova tecnologia? Quali sono le ragioni dell'accelerazione che la sua applicazione ha avuto negli ultimi tre anni?
— Questa tecnologia è congeniale dal punto di vista economico e produttivo se il prezzo del petrolio si aggira sui 40 dollari al barile ed è praticata dagli USA, che proprio grazie ad essa sono passati dall'importare il petrolio addirittura ad esportatorlo: la trasformazione da cliente a produttore ha dopato il mercato rideterminando i prezzi. La ragione dell'accelerazione nell'adozione di tale tecnologia da parte americana è duplice: da un lato la necessità di migliorare la bilancia commerciale e il disinnesco del rischio della dichiarazione di default che pochi anni fa aveva corso l'amministrazione Obama; dall'altro la gestione della "nuova guerra fredda" intrapresa contro la Russia dal Nobel per la Pace che dirige gli States: le sanzioni economiche europee da sole non avrebbero dato risultati, ma era necessario intervenire sulle quotazioni dei prodotti energetici per colpire la Russia con una qualche efficacia.
- Utilizzando l'oil & gas shale extraction gli Stati Uniti stanno destabilizzando il Medio Oriente?
— A prescindere dalle tesi non ancora provate che affermano che questa tecnologia rischia di creare gravi danni sia alle falde acquifere che alla crosta terrestre, le forti ripercussioni che essa provoca si abbattono sui Paesi arabi. Ad esempio l'Oman ha dovuto tagliare del 15% la spesa pubblica a causa della diminuzione delle entrate dai giacimenti del petrolio. E' chiaro che riduzioni del genere hanno un costo sociale notevole in termini di servizi: di certo gli USA se ne assumono implicitamente l'onere nel perseguire i loro obiettivi strategici. Forse l'amministrazione Obama ha messo in conto che ciò possa favorire l'insorgere di nuove dittature e creare tensioni i cui effetti si ripercuotono essenzialmente sull'Europa — uno fra tutti quello dei flussi migratori. E alla lunga anche una crisi può diventare un vantaggio, se a pagarne le conseguenze sono i tuoi principali avversari economici.