Intervista a Claudio Pucci, Unimpresa: Politici e funzionari statali, ecco le zavorre del Paese
I dati micro e macroeconomici dell'Italia fanno acqua da tutte le parti. Da tempo il Belpaese è sotto la lente d'ingrandimento della UE, timorosa dell'effetto a catena che un suo default avrebbe su tutta l'area Euro. Lo scotto da pagare per l'attenzione comunitaria è una nuova manovra correttiva che rischia di avere conseguenze devastanti per le imprese e le famiglie italiane. Partendo da queste considerazioni abbiamo interpellato il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci, per conoscere le preoccupazioni dei suoi associati sul futuro del nostro Paese.
— Avete comunicato come il debito italiano sia cresciuto di 211 miliardi di euro in questa legislatura. Si tratta di un fallimento solo per la politica italiana o anche per la classe dirigente?
— I primi responsabili sono i politici, non c'è dubbio. Ma è vero che a indossare la maglia nera devono essere anche gli alti funzionari dello Stato ai quali sono stati attribuiti, a partire della riforma Bassanini del 1999, sempre più poteri. Potremmo dire che si tratta di responsabilità da condividere.
— Come giustificate che il debito cresca nonostante si sia ridotto il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche?
— Negli ultimi dieci anni il debito pubblico è cresciuto di 630 miliardi. Vuol dire, in media, 63 miliardi l'anno. Sa da cosa deriva questa cifra? Per lo più dalla spesa per interessi che il Tesoro riconosce ai sottoscrittori di BOT e BTP. Il bilancio dello Stato sarebbe in attivo se non fossimo piegati da tassi pesantissimi, nonostante la riduzione dei rendimenti a cui abbiamo assistito dopo i picchi del 2011. Ma non è solo questo il problema. È vero che il fabbisogno si è ridotto, ma c'è ancora molto da fare per combattere gli sprechi nel bilancio statale. Chiedo al premier Paolo Gentiloni: che fine ha fatto la spending review?
— Unimpresa ha calcolato che uno spread a 200 brucerà un tesoretto da 20 miliardi nel biennio 2017-18. Allora per le imprese sarebbe meglio votare quest'anno oppure alla scadenza naturale?
— Lo spread sale perché gli investitori stranieri premiano la stabilità e questo è normale: dunque è sbagliato parlare di speculazione. Più che la data, ci interessa l'approvazione di una legge elettorale che assicuri al Paese un governo di lunga durata, qualunque esso sia. E per fare una buona legge elettorale serve tempo. In questo senso, pertanto, guardiamo con favore al 2018.
— Nei recentissimi dati comunicati dalla Commissione Europea sulla crescita dell'Italia si evince in modo chiaro che la manovra correttiva si farà. Di quali misure avete maggiore paura per i vostri associati?
— In particolare di qualunque inasprimento delle tasse. Non sappiamo come verranno messi insieme i fondi per tamponare le richieste della UE, per ora dobbiamo attenerci alle indiscrezioni che riferiscono di probabili aumenti delle accise, ovvero pressione fiscale in crescita. Sarebbe il colpo di grazia sulle speranze di ripresa. Si corre il rischio di uccidere la timidissima crescita del Pil avvenuta nel 2017.
— L'Italia è ultima in Europa per crescita di Pil e tra le peggiori per disoccupazione giovanile: che cosa manca alla nostra Italia per vedere un'inversione di questa tendenza?
— Manca una scossa. Da tempo chiediamo un piano serio, volto alla riduzione drastica della pressione fiscale: si può partire solo da lì. Soltanto con meno tasse si danno alle famiglie denari in più da spendere e alle imprese i fondi per investire. Si avvierebbe un circolo virtuoso che farebbe bene ai consumi e creerebbe in poco tempo nuova occupazione. Ma anche le casse dello Stato ne trarrebbero benefici! In Italia si registra il livello più alto per tutte le categorie dei prelievi fiscali principali: nel nostro Paese è record sia per le imposte sui consumi (Iva) con un'aliquota massima del 22% da confrontare col 21,4% della media UE e col 20,8% della media dell'area euro; sia per le imposte personali sul reddito (Irpef), con un'aliquota al 48,9% da paragonare al 39,3% della media UE e col 42,1% della media dell'area euro; sia per le imposte sul reddito delle società (Ires), con un'aliquota al 31,4% più alta del 22,8% della media UE e del 24,6% della media dell'area euro.
— In tutto il mondo si parla di rivoluzione 4.0 del mondo industriale: è questa la ricetta per sopperire o superare il settore manifatturiero?
— Il progresso è determinante: guai a pensare di poterlo fermare. La manifattura continuerà ad avere uno spazio notevole per le eccellenze e tra queste inserisco senza dubbio i prodotti delle aziende italiane, specie quelle più piccole. Non possono fare tutto le macchine o i computer.
— Le misure di protezionismo spinto annunciate da Trump vi spaventano?
— Certamente. Sbaglia chi fa il tifo per questo tipo di politica, sbaglia soprattutto perché le nostre aziende vivono di esportazioni e i danni derivanti da nuovi dazi all'importazione sarebbero devastanti. Non bisogna scherzare su certi argomenti, abbiamo la sensazione che si parli con molta superficialità.
— Fino ad oggi le sanzioni contro la Russia sono costate 3,6 miliardi di euro. State attivando rapporti diretti per ovviare a questa situazione?
— Non abbiamo rapporti diretti con la Russia né, per ora, è prevista l'apertura di una sede. Tuttavia, è indubbio che qualsiasi forma di sanzione nei confronti di un grande Paese estero rappresenta una minaccia per la nostra economia, perché che l'export è fondamentale. Il made in Italy viene penalizzato se i grandi compratori sono aggrediti.