Pure il festival di Sanremo diventa terreno di scontro col Governo
Non è che sia una novità: ogni occasione è buona per attaccare ciò che fa il Governo, ma ci mancava pure il festival di Sanremo per dare voce agli eroici dissidenti.
Anzi, non hanno aspettato nemmeno la kermesse vera e propria, ma già durante la conferenza stampa di presentazione Claudio Baglioni ha sentito l'esigenza di esprimersi entrando a gamba tesa contro il Governo e le sue politiche migratorie. Il direttore artistico della 69esima edizione del festival ha dichiarato:
Proprio in un'isola come Lampedusa, 25 anni fa, si avvertiva il fenomeno degli sbarchi. Ma le intenzioni della manifestazione e degli artisti, tra i quali io, era quella di dire che siamo assolutamente preoccupati del fatto che ci siano dei viaggi di persone irregolari. Ci auguravamo che, in un mondo perfetto, qualsiasi movimento di esseri umani fosse regolabile e che non finisse nelle mani dell'illegalità.
Per precisare meglio il suo pensiero politico, il celeberrimo cantante romano ha aggiunto: La classe politica e l'opinione pubblica hanno peccato clamorosamente. Il nostro Paese è terribilmente incattivito, rancoroso, nei confronti di qualsiasi altro che non sia piacevole, fortunato o amico nostro, guardiamo con sospetto anche la nostra ombra. Credo che le misure messe in atto da questo governo, come quelle dei precedenti, non siano assolutamente all'altezza della situazione. Per questo (tornando al Festival) a noi interessa creare di nuovo un senso armonico, perché il Paese è gravemente confuso, quasi cieco, sulla direzione da prendere. Come si può pensare di risolvere questa situazione di milioni di persone in movimento evitando lo sbarco di 40 o 50 persone. Siamo un po' alla farsa. Non credo che un dirigente politico di oggi sia in grado di risolvere questo problema, ma ci vorrebbe almeno verità. Siamo di fronte ad un grave fenomeno e dovremmo metterci tutti nella condizione di risolverlo. Quest'anno è il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Stiamo ricostruendo i muri. Non credo che questo faccia la felicità degli esseri umani.
Ora, pur col massimo rispetto per la libertà di opinione, diventa difficile accettare che l'evento musicale più importante della televisione statale possa occuparsi di informazione o peggio ancora di politica. Qui si è trattato di utilizzare una passerella garantita dalla Rai — quindi dai contribuenti — per lanciare un comizio moraleggiante contro i governi italiani (quello attuale in primis, ma vengono citati anche i precedenti). Da ciò si evince che nel panorama della cultura italica c'è ancora tanto da lavorare per raggiungere la maturità indispensabile alla gestione di determinati ruoli. Viviamo in una democrazia in cui le elezioni decretano chi governa e chi fa la minoranza: comprendere ciò, evitando comportamenti non consoni, non vuol dire imbavagliare il libero pensiero, ma significa onorare un servizio pubblico.
Ma in Italia su ogni questione prevale ormai il tifo da stadio, come dimostra il clamore mediatico montanto sulla netta presa posizione della direttrice di Rai1, Teresa De Santis, raccolta da Dagospia e riassumibile in "Baglioni mai più all'Ariston, se ci sono io". Da anni gli italiani domandano l'abolizione del canone e una Tv di Stato bonificata dalla lottizzazione politica. Tuttavia, durante il Festival di Sanremo, cioè il programma più seguito del palinsesto nazionale, scoppiano sempre polemiche e vi si fanno comizi mascherati da satira o da licenza artistica. La reazione della direttrice di Rai1 pare similare a quanto avviene da quando esiste la stessa Rai. Eppure i cosiddetti "democratici", quando sono opposizione, tramutano qualunque evento in un'occasione di resistenza (termine abusatissimo) verso chi non la pensa come loro. Sarebbe stato un caso diverso se fosse stata censurata una canzone che tratta argomenti scomodi, ma tutto ciò che sta attorno al Festival merita il rispetto dovuto al ruolo della televisione pubblica.
Il direttore artistico di Sanremo Baglioni e il presentatore del festival Bisio (che ha già annunciato battaglia sul tema quando sarà sul palco) possono in qualunque momento rescindere il contratto e rinunciare ai soldi di Stato, se pensano che l'Italia e il suo Governo facciano così schifo. Che i campioni del perbenismo e degli alti valori diano il buon esempio di disobbedienza civile (chiamiamola così, usando paroloni come fa certa intellighenzia): sarebbe una novità epocale, dato che fino ad oggi si è fatta politica al festival a spese di tutti i contribuenti, incassando poi vertiginosi cachet. Magari così queste proteste assumerebbero persino maggiore credibilità, ma fino a quando rimangono parole di una conferenza stampa o pseudo-battute di uno sketch, offrono solo l'immagine di un'Italia che si fa del male da sola durante qualunque occasione di vetrina internazionale.
di Marco Fontana - Pubblicato da Sputnik Italia