Intervista al dottor Salvatore Di Salvo: "Italia, di crisi si muore ancora"
Dall’inizio della grande crisi del 2012, si contano in Italia un totale di 988 suicidi riconducibili a motivazioni economiche: a comunicare il dato è l’Osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche” della Link Campus University.
È invece di 661 il numero dei tentati suicidi a causa dagli stessi motivi. Nei primi 6 mesi del 2018, l'Osservatorio ha evidenziato come il numero di vittime sia stato di 59, in netto aumento rispetto alle 47 registrate nella prima metà dello scorso anno, mentre i tentati suicidi sono 53. Si tratta di numeri da capogiro, che raccontano come la situazione economica stia continuanto a falcidiare sia imprenditori che disoccupati.
È una mattanza che dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni non soltanto del Governo, che col redditto di cittadinanza ha dimostrato attenzione (seppur limitata) in termini di risorse, ma soprattutto a livello europeo, dove invece sembrano fare spallucce evitando di analizzare gli effetti delle politiche di austerity imposte agli Stati membri più deboli. Sputnik Italia ha intervistato il noto psichiatra Salvatore Di Salvo, presidente dell'associazione torinese per la Ricerca sulla Depressione, uno dei dottori più attivi nel divulgare e nell'informare gli italiani attraverso il portale, da anni un punto di riferimento per molti di coloro che soffrono del male di vivere.
— Esiste davvero una correlazione tra la crisi e l'aumento dei suicidi o tentati suicidi?
— Assolutamente sì. Premetto che per determinare un fenomeno di tipo depressivo è necessaria la presenza di più elementi causali: predisposizione individuale, eventi negativi nel microcrosmo o nel macrocosmo sociale e/o insicurezze profonde. Una depressione nasce solo da un cocktail di queste condizioni, mentre non ne basta una sola. Siamo in una difficile situazione socio-economica già da anni, perciò su soggetti predisposti la perdita del lavoro o della propria azienda può avere effetti deflagranti: costoro non sono abituati a ciò che devono affrontare e non hanno gli strumenti per superare la crisi emotiva a cui vanno incontro. Non è un caso che l'incremento più alto si sia avuto nel Nord-est, un'area che ha sempre goduto di una storia di sviluppo economico mai regressivo.
— Quindi la crisi sì è un fattore scatenante, ma ci vuole una predisposizione?
— Certo, e tutto dipende dalle modalità di reazione. C'è una componente genetica: altrimenti chiunque finirebbe in depressione di fronte alla crisi economica.
— Che cosa pensa della polemica sull'efficacia dei farmaci, in particolare del Prozac?
— Il Prozac è stato osannato come capostipite dei serotinergici, per poi essere messo all'indice; in verità ha determinato una rivoluzione, perchè prima di esso vi erano solo farmaci con mille effetti collaterali, ma da lì in poi ne sono stati sintetizzati una ventina di tipi diversi che hanno migliorato l'efficacia e ridotto i rischi.
— Parliamo appunto dei fenomeni collaterali…
— Come dico sempre, i rischi sono inferiori ai sintomi che rendono impossibile continuare a vivere. I principali effetti collaterali sono una limitata inappetenza e la nausea nei primi dieci giorni. I protocolli prevedono un inizio molto lento, anche a discapito dell'effetto immediato. Non esiste l'assuefazione agli psicofarmici, che è uno degli elementi pregiudiziali che si associano ad essi, disinformando il paziente. La dipendenza esiste nei confronti degli ansiolatici; la terapia farmacologica è a tempo e serve solo per affrontare la fase acuta. Guarire si può, ma con l'indispensabile psicoanalisi.
— Si possono prevenire depressione e attacchi di ansia?
— La predisposizione deve essere nota e la persona deve avere consapevolezza. Non è semplice! I familiari possono aiutare insieme ai medici di base. Purtroppo su questi fenomeni patologici gravano ancora la mancanza di informazioni e i pregiudizi.
— E in Italia c'è abbastanza informazione?
— Poca, me le cose stanno lentamente migliorando. Un malato su tre ricorre allo specialista: è più di vent'anni fa, quando erano uno su cinque, ma c'è ancora tanta strada da fare. Un esempio di pregiudizio: vi è ancora chi crede gli psicofarmaci siano sostanze stupefacenti.
— Quanti italiani soffrono di queste patologie?
— Ben 12 milioni hanno incontrato un disturbo d'ansia o depressivo, e di questi almeno 1,5 milioni ne stanno vivendo una fase acuta. Al Nord sono di più. Se si parla di attacchi di panico vi è di più di un milione di persone in forte sofferenza. Sono numeri grossi, ai quali vanno aggiunti i familiari che si trovano a convivere con un problema che peggiora fortemente la qualità della vita di tutto il nucleo familiare. Personalmente cerco sempre di coinvolgere nei primi incontri anche le persone care al paziente, per informarle e trasformarle in un supporto a chi soffre.
— Si guarisce?
— Certo! Abbiamo strumenti che permettono di vincere la fase acuta. I sintomi che inibiscono il lavoro e la socializzazione sono governabili. Per i temperamenti non esistono strumenti, perché sono legati al carattere, ma con la psicoanalisi si può aiutare la gestione dello stress prevenendo il riacutizzarsi della patologia.
— Che cosa potrebbe fare il Governo per aiutare chi sta soffrendo?
— Per esempio una campagna informativa come si deve, di quelle come per l'AIDS o il gioco d'azzardo, che vediamo sulle TV nazionali. Fare informazione vuol dire fare prevenzione: i pregiudizi sono enormi, ed eliminandoli con l'informazione potremmo potremmo aiutare molti più cittadini.
di Marco Fontana - Pubblicato da Sputnik Italia