La fine dell’ISIS potrebbe portare alla radicalizzazione del terrorismo in Italia
Con la caduta dell'ultima resistenza dello Stato islamico a Baghuz, l'Occidente dovrà affrontare sempre più spesso tre questioni centrali per la sua sicurezza: gestire il rientro dei mercenari nei Paesi di provenienza, accontentare le richieste di ritorno in Siria da parte dei profughi, combattere il rischio altissimo di radicalizzazione dei soggetti che potrebbero trasformarsi in terroristi. Alcuni Stati europei stanno affrontando questi problemi con mano ferma: e in Italia invece? Una illuminante chiave di lettura viene data da Claudio Bertolotti, analista per il CeMiSS, Centro di Studi Strategici collegato al Ministero della Difesa italiano, e ricercatore del Cemres (Euro-Maghreb Centre for Research and Strategic Studies).
Bertolotti afferma: La diffusione dell’ideologia jihadista che è alla base dello Stato islamico è di tipo virale. (...) Un’epidemia che si muove su due canali: da un lato il Web, attraverso la diffusione dell’ideologia che sfrutta i social network per la propaganda e il reclutamento; dall’altro lato la capacità attrattiva dei reduci del jihad. Se sul piano virtuale è possibile contenere in parte l’offensiva propagandistica, seppur con grandi limiti, sul piano reale la possibilità di garantire un rientro degli jihadisti al fine di poterli processare rappresenta un pericolo diretto per la sicurezza nazionale. E il rischio proviene anche dalle donne che li hanno seguiti e che hanno dato loro dei figli.
Qualora la Giustizia statale riesca a condannarli, essi potrebbero conquistare nuovi adepti proprio in carcere, che è un luogo ideale per il “contagio”. Secondo l'analista italiano, sarebbe quindi logico seguire l’esempio del Regno Unito, che sta revocando la cittadinanza ai britannici che erano volontariamente andati in Iraq e in Siria. In Italia, fortunamente, l’assenza dello Ius Soli rappresenta tutt’ora un elemento estremamente efficace per l’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale. Anche se molti italiani non lo sanno, un vero punto di forza dell’Italia nella lotta contro il terrorismo effettivo o potenziale, che deriva dalla fine dei conflitti in Medio Oriente, è rappresentato dagli apparati di sicurezza come i Carabinieri, la Polizia di Stato e gli organi investigativi: elevata professionalità, capillare presenza sul territorio, capacità di adattamento all’evoluzione delle minacce terroristiche.
Purtroppo manca ancora una legge specifica per la prevenzione del radicalismo islamico e per il contrasto a questo genere di terrorismo. Nella scorsa legislatura il progetto di legge Dambruoso-Manciulli era stato presentato e approvato dalla Camera e dalle commissioni competenti del Senato, ma poi - per motivi che è impossibile spiegare - non era stato inserito nel calendario delle votazioni finali dal presidente del Senato Pietro Grasso.
Bertolotti evidenzia altri due problemi. Il primo è la saturazione della capacità operativa, ossia la disponibilità di operatori impegnati nell’osservazione di soggetti a rischio di radicalizzazione. (...) Per monitorare un soggetto a rischio occorre almeno un operatore che, considerate le 24 ore giornaliere e i tre turni lavorativi di otto ore, impongono l’impegno di 3 operatori di polizia per ogni sospettato: il che si traduce, nel caso francese, in un’esigenza di 90mila poliziotti. Semplicemente impossibile poter pensare di controllare tutti i sospettati. In Italia, a fronte di un limitato campione di riferimento, e di un elevato e sofisticato sistema di sorveglianza e investigazione, è ancora possibile operare efficacemente, ma non sarà così per sempre.
Il secondo problema consiste nella permeabilità dei confini nazionali. Possono avvenire infatti degli “sbarchi fantasma” in grado di trasferire dalle coste tunisine attraverso imbarcazioni sicure gruppi ridotti di 5/10 soggetti in grado di pagare cifre molto elevate (4/8mila euro) per essere trasferiti sulle coste italiane e qui, grazie ai legami con le criminalità locali, ottenere documenti falsi (il falso documentale è uno dei putni forti della criminalità pugliese e campana in particolare) e vie di facilitazione per il movimento in Italia e in Europa.Perciò l’Italia deve dotarsi di maggiori strumenti per difendersi dai nuovi flussi: quelli che tornano dalla Siria e quelli passano per l’Italia verso mete differenti.
Gli italiani hanno aperto gli occhi a causa dell’attentato fallito di San Donato Milanese, che poteva uccidere decine di bambini e che perciò sta avendo una grande risonanza mediatica. In realtà, vi erano già stati attentati in passato, che essendo stati sventati dalle Forze di polizia oppure non essendo riusciti, non avevano avuto molto riscontro nell’opinione pubblica. Nel 2004 un attacco al McDonald’s di Brescia era finito con la morte dell’attentatore; nel 2009 alla caserma Santa Barbara di Milano l’attentatore era stato neutralizzato; nel 2018 a Pompei una “auto-ariete” lanciata sulla folla si era schiantata sulle barriere di protezione e l’attentatore era stato arrestato. Come conclude Bertolotti, quindi, l’Italia è stata toccata dal terrorismo, benché disorganizzato e non strutturato, che è da ricondursi all’ideologia e alla strategia di al-Qa’ida prima e dello Stato islamico in un secondo momento, e quindi deve adottare tutte le azioni legislative e di polizia possibili per evitare una radicalizzazione del terrorismo che arrivi ad una organizzazione stabile.
Pubblicato da Inforos - Scritto da Marco Fontana