Cultura a Torino, politica ad un bivio: o apre ai privati e al mercato oppure è destinata a morire
Se le difficoltà dei bilanci pubblici stanno mettendo in ginocchio i programmi stagionali di tutti i maggiori operatori del settore culturale locale, la scelta annunciata oggi da parte del sindaco Piero Fassino e dai presidenti della Provincia di Torino e della Regione Piemonte, Antonio Saitta e Roberto Cota, di lavorare sinergicamente per salvare il salvabile pare finalmente essere improntata ad un sano pragmatismo.
C'è voluto del tempo ma la politica è giunta a due conclusioni sensate: il mondo della Cultura non può più vivere esclusivamente sul mecenatismo statale ma deve aprirsi ai privati e al mercato a pena di morire seduta stante e le Amministrazioni devono smettere di farsi concorrenza finanziando in modo autoreferenziale manifestazioni pressochè identiche ma compiendo una volta per tutte delle scelte, basate su criteri di priorità. Scelte peraltro che l'assessore della Regione Piemonte, Michele Coppola, da tempo auspicava.
In gioco non c'è solo la perpetuazione di arti che rischiano l'estinzione ma anche e soprattutto il salvataggio di centinaia di posti di lavoro. Il programma adottato dal "triumvirato" locale è quello di riuscire a mettere attorno al tavolo i più importanti soggetti privati che potrebbero immetter capitale in attività culturali, coinvolgendoli in progetti strutturati sulle grandi eccellenze del territorio: dallo Stabile, al Teatro Regio, dalla Reggia di Venaria al Salone del Libro e al Salone del Gusto.
Laddove la politica ha sposato la concordia istituzionale, essa ha sempre dato grandi frutti: basti pensare che quindici anni fa l’abbonamento musei partì con meno di 500 abbonati e con i 4 musei comunali allora aperti. Adesso vi aderiscono circa 100 musei e gli abbonati sono più di 86.000. Intorno a quel semplice strumento sono nate cooperazioni e un coordinamento di iniziative ed è maturata nel pubblico la consapevolezza della ricchezza diffusa della cultura. Un patrimonio che sicuramente non è da gettare via perchè è uno dei pilastri attorno al quale far crescere la Torino del futuro.
di Marco Fontana