Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
22 aprile 2013

Italia nelle mani della Prima Repubblica

Con l’affermazione del Movimento 5Stelle, la XVI Legislatura sembrava nata sotto il segno di un rinnovamento obbligato della politica in generale. I grandi partiti di massa, spinti dalla paura di scomparire, sembravano orientati a raccogliere il grido di protesta lanciato in modo netto dalla base elettorale.

L’elezione a presidenti di Camera e Senato di due personaggi come Laura Boldrini e Pietro Grasso, apparentemente più legati alla società civile che non alla politica attiva, pareva andare proprio in quella direzione. Eppure, il rinnovo del mandato al Presidente della Repubblica ha completamente sparigliato quel copione, che per molti commentatori era già scritto nella forma e nella sostanza.

La rielezione di Giorgio Napolitano segna infatti, in modo incontrovertibile, una frattura difficilmente ricomponibile tra il Paese reale, che auspicava un cambio di rotta, e quella realpolitik che invece vede la propria sopravvivenza come il puntoprincipale dell’agenda di governo.

Per carità, in questa vicenda nemmeno il Movimento 5 Stelle è privo di colpe. Sin dall’inizio del mandato elettorale, Grillo ha continuato a operare attraverso proclami autarchici e isolazionisti, paradossali per un partito che aspirerebbe a governare l’Italia. Una modalità di non-dialogo, quella del comico genovese, che sfocia in toni sempre più grotteschi, talvolta fascistoidi nella forma (si pensi alla chiamata ad una “Marcia su Roma” per un presunto “golpe” dopo la rielezione di Napolitano), e sinistrorsi nella sostanza (visto il suo feeling verso politici e personaggi delcentrosinistra).

Proprio su quest’ultimo punto è indispensabile aprire una riflessione, perché anche debolezza delle sue candidature è stata un modo per far legittimare la scelta de partiti storici di ricorrere al “salvagente” del Napolitano-bis. L’appoggio del M5S a Stefano Rodotà si poteva considerarsi veramente una scelta di cambiamento? Mentre Franco Marini e Romano Prodi erano stati appena abbattuti dal fuoco amico del Partito Democratico, alcuni manifestanti indossavano una maglietta con scritto: “Perché Rodotà no?”. Ci sarebbe da chiedersi anche “Perché Rodotà sì?”. Stefano Rodotà è infatti un uomo di apparato che già nel 1992 contese senza successo la carica di presidente della Camera a Giorgio Napolitano (corso e ricorsi della storia...). Un uomo di 80 anni che nel proprio curriculum non ha molto altro che il ruolo di Garante della privacy, una figura ambigua creata da una legge ambigua, che reca allo Statopiù danni che benefici. Insomma, era lui il segnale di cambiamento dello tsunami grillino? A questo punto era lecito domandarsi: perché Rodotà e non Prodi o Marini…

Non è un caso che di fronte a una candidatura in fin dei conti debole, le coalizioni principali abbiano avuto gioco facile a far digerire il rinnovo di Napolitano. Un’investitura, quella di “Re Giorgio”, che ha comunque del paradossale, perchérimette il Paese nelle mani della tanto vituperata Prima Repubblica, quella uscita con le ossa rotte da Tangentopoli, e che ora viene elevata a “salvatrice della Patria”. Questa tesi sarebbe ulteriormente riconfermata se venisse affidato l’incarico a Giuliano Amato, per tentare di formare un governo di larghe intese. Amato è l’emblema stesso della Prima Repubblica: deputato per il Psi dal 1983 al 1994, fuconsigliere economico e politico di Bettino Craxi, fu ministro del Tesoro sotto i governi Goria e De Mita (ciliegina sulla torta: recentemente è stato presente a una riunione del Bilderberg). Cognomi pesanti per un popolo che col proprio voto voleva determinare un cambiamento epocale, e che invece potrebbe ritrovarsi in un indesiderato revival.

D’altra parte, il Partito Democratico non esiste più. È imploso per la forza delle proprie correnti interne, durante le votazioni per l’elezione dell’inquilino del Quirinale. Uno spettacolo indegno, come da più parti stato sottolineato, sia a destra che a sinistra. Un Parlamento riunito in seduta comune che assisteva a un congresso di partito che non interessava nessuno. Una resa dei conti indecorosa, per un Paese che ha ben altri problemi da risolvere che non le beghe interne di un partito.

In questo caos, il Popolo delle Libertà non sta granché meglio. È vero che Silvio Berlusconi, in tempi non sospetti e dopo aver osservato la confusione interna al centrosinistra, aveva proposto la ricandidatura di Napolitano: una scelta risultata poivincente. Ma che cosa penserà la sua base elettorale, che voleva invece una personalità liberale alla guida del Paese? E soprattutto si è certi che il nuovo-vecchio Presidente, che durante il precedente settennato non aveva mai fatto sconti al PdL, voglia garantire realmente anche le richieste del centrodestra? Creazione di un governo o elezioni subito?

di Marco Fontana - Pubblicato su La Voce della Russia

 

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