Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
22 luglio 2013

Privatizzazioni made in Italy. Si vende per spendere

Il leitmotiv della settimana è stato il ritorno di fiamma per le “privatizzazioni” da parte della politica italiana. Tutto nasce da una dichiarazione del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni su Bloomberg Tv, rilasciata a Mosca, nella quale l’ex direttore generale della Banca d’Italia ha sostenuto che non è escluso che il Tesoro decida di cedere quote di società pubbliche - incluse Eni, Enel e Finmeccanica per ridurre il debito.

Una dichiarazione dalle forti ripercussioni, poiché da tempo il fronte compatto di burocrati, interessi partitici e “sottobosco” (quella zona grigia fatta di trombati eccellenti, che i partiti devono pur sistemare dopo ogni elezione per evitare mugugni o clamorose scissioni) osteggia l’utilizzo del cospicuo patrimonio pubblico italiano per alleggerire gli oneri derivanti dal debito statale. Un debito elefantiaco che costituisce la vera zavorra alla crescita e allo sviluppo. Ma si è certi che la strada delle privatizzazioni sia quella giusta? Agli osservatori la fuga in avanti di Saccomanni appare come l’ultimo salvagente gettato dal Ministro per riuscire a reperire in fretta e furia le risorse necessarie per quell’alleggerimento della pressione fiscale, che per ora il Governo Letta ha attuato solo spostando in autunno le scadenze di pagamento. Oggi, infatti, le risorse per coprire l’abolizione dell’Imu, la riduzione del cuneo fiscale e per evitare l’aumento di un punto percentuale dell’Iva sono i “grandi ricercati” dell’estate italiana.

Il Governo naviga in cattive acque: si capisce che la vendita dei gioielli di famiglia appaia come una strada facilmente percorribile. L’Istituto Bruno Leoni li ha recentemente censiti: tra palazzi, caserme, scuole, ospedali e altre costruzioni lo Stato controlla 543 mila unità immobiliari, alle quali vanno aggiunti 760 mila terreni. È un patrimonio statale di 55 miliardi, mentre quello delle altre amministrazioni (in base ai prezzi medi di mercato elaborati dall'Agenzia del Territorio) viaggia intorno ai 285 miliardi. Pur immenso, esso rende poco e lo Stato non è riuscito, tra cartolarizzazioni, società ad hoc e così via, a valorizzarlo. Se si guarda al valore delle attuali partecipazioni pubbliche a livello nazionale, includendo sia le società quotate che le non quotate, il patrimonio ammonta a circa 130 miliardi di euro. Se questa cifra fosse impiegata per ridurre il debito pubblico, come prevedono gli accordi con Bruxelles, il risparmio in termini di interessi sarebbe sicuramente rilevante.

Tutto bene fin qui, se non ci fossero di mezzo la politica e i partiti, che negli ultimi venticinque anni, pur di fronte a segnali allarmanti di un indebitamento fuori controllo, hanno continuato a fare della spesa selvaggia il loro principale punto programmatico. Basti pensare che anche oggi, dopo il rischio di default occorso appena un anno e mezzo fa, il debito pubblico continua a crescere. E questo nonostante la ricetta di austerity del governo Monti: anzi, sotto la sua “reggenza” questo era salito di 81,5 miliardi in appena un anno. L’esecutivo Letta, partito a fine aprile con un debito di 2.041,293 miliardi di euro, vede salire l’importo a 2.074,680 a maggio, con un aumento in un mese di 33,387 miliardi al ritmo di 1,074 miliardi di euro al giorno. Se a questo si aggiunge ancora il nervo scoperto delle privatizzazioni effettuate tra 1993 e 2005 (un fiume di denaro di 121,3 miliardi di euro ricavato da banche, supermercati, tabacchi, assicurazioni, quote di Eni, Enel, Finmeccanica, autostrade e Telecom Italia), le quali non hanno dato ossigeno ai conti pubblici, si comprende che la strada tracciata dal ministro Saccomanni appaia come un film dell’orrore con un finale tragico per tutti i protagonisti.

Pd, PdL e il centrino montiano sembrano far finta di nulla. È proprio di queste ore la notizia che nel cosiddetto “Decreto del Fare” sia in arrivo un comitato interministeriale per vigilare sulla spending review. In esso è prevista la nomina di un commissario ad hoc appositamente retribuito: 150mila euro quest’anno, 300mila euro nel 2014 e nel 2015 e 200mila nel 2016. È un dèjà vu: Monti aveva già affidato un medesimo incarico a Enrico Bondi, il risanatore di Parmalat. Il Governo aveva disposto un intervento sulla riduzione della spesa pubblica per un importo complessivo di 4,2 miliardi di euro in 7 mesi, con l’obiettivo di evitare l’aumento dell’Iva di due punti percentuali, dato per possibile per l’ultimo trimestre del 2012, mentre in un anno la riduzione della spesa pubblica sarebbe stata di 7,2 miliardi, pari al 9% della spesa rivedibile nel breve periodo (complessivamente 80 miliardi di euro). Peccato che questa promessa sia rimasta irrealizzata e ancora oggi l’Italia cerchi i fondi per evitare l’innalzamento dell’Iva. Una quisquilia nella quale resta sicura una spesa: 950mila euro per un nuovo “paladino sacrificabile” sull’altare mediatico del risanamento.

di Marco Fontana - Pubblicato su La Voce della Russia

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