Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
04 febbraio 2014

In Italia con decreto si è creata disoccupazione. Ma un New Deal è possibile

A dicembre, l’Istat ha registrato una lieve diminuzione della disoccupazione in Italia: 12,7%. È il primo calo su base mensile da giugno, anche se solo di 0,1 punti percentuali. La situazione rimane, dunque, drammatica. Infatti, il tasso di disoccupazione cresce annualmente dello 1,2%, ma guardando solo i giovani tra i 15 e i 24 anni, la cifra è del 41,6%.

Aggiungiamo pure la mazzata dataci dalla fuga di aziende storiche, quali la Fiat e la Electrolux. Partendo da questa riflessione, La Voce della Russia ha chiesto un parere a Giorgio Airaudo, perito elettronico e sindacalista, già segretario nazionale Fiom e oggi deputato del partito Sinistra Ecologia e Libertà (Sel).

- Oggi in Parlamento si dibatte di legge elettorale, mentre il tema del lavoro langue. Renzi aveva parlato di un Jobs Act, con ricette per riformare il mercato del lavoro: come lo valuta?

- In realtà, sappiamo molto poco per poter dare un giudizio di merito. Più che una proposta di riforma, mi è parsa una scaletta di appunti. Molti dei titoli vanno declinati: alcuni possono andare bene, altri male. Ad esempio, sembra un approccio corretto parlare di aumento delle tassazioni finanziarie per finanziare le riforme sul lavoro, ma è un discorso trito e ritrito e mai attuato. Renzi è il segretario del Partito Democratico, cioè dell’azionista di maggioranza del Parlamento: perciò, se ci crede, renda immediatamente operativa questa proposta. Possiamo anche concordare sulle dichiarazioni di principio: chi può essere contrario a sostenere interventi di stimolo a un’occupazione stabile o alla garanzia di un reddito universale? Vediamo però come ci si arriva; sicuramente non con delle mance, che non sollevano dalla povertà.

- Quale sarebbe invece il suo Jobs Act?

- Se la priorità è creare lavoro, ritengo che rivolgersi al mercato non sia la variante migliore. Togliere i lacci che legano domanda e offerta di lavoro non mi convincerà mai. Si pensi all’articolo 18. Sotto Monti, il Parlamento lo ha dapprima anestetizzato, poi praticamente cancellato. Su quell’articolo alcuni fecero persino una guerra santa, ma non mi pare che si siano viste schiere di imprenditori pronti a investire in Italia. In verità, ci sono corruzione, costi esagerati per l’energia e norme confuse sulla tassazione: sono questi sono i tarli che minano la solidità del lavoro nel nostro Paese, è su di essi che bisogna intervenire.

- Proposte concrete?

- Una sola: un New Deal italiano. Rompiamo il tabù che bolla come male assoluto lo Stato in quanto datore di lavoro. Si dice che il lavoro non si possa creare per decreto, eppure, per decreto sono riusciti a creare disoccupazione. In Italia abbiamo 9 milioni di disoccupati, contando anche quelli che vivono sotto la soglia della povertà: con cifre del genere, non possiamo attendere il mercato, che ha tempi lunghissimi. Serve un intervento pubblico, come da anni sostiene il professor Luciano Gallino. Sel ha presentato un disegno di legge che prevede un Piano Nazionale per il Lavoro Verde, che contiene interventi di risparmio energetico su tutto il patrimonio pubblico, messa in salvaguardia del territorio, commesse statali che impongano l’assorbimento di disoccupati, in particolare ultra 50enni e giovani in cerca di lavoro a lungo termine. Vi aggiungiamo la richiesta all’Europa di derogare sugli aiuti di Stato: è inaudito che l’Ue ponga vincoli ai Paesi che vogliano costruire scuole, strade e ospedali.

- L’Italia sta diventando periferia d’Europa? Quali sono le colpe italiane e quelle dell’Ue?

- Le politiche dell’Ue hanno amplificato gli effetti della crisi e creato diseguaglianze. Sono scelte cannibali che hanno consumato l’Europa nella sua essenza. La responsabilità italiana sta nel non aver mai aggredito i problemi strutturali che da anni l’ammorbano e nel non essere riuscita a cambiare una classe dirigente che ha fallito. Non parlo solo di quella politica, ma anche e soprattutto di quella imprenditoriale. Abbiamo assistito a imprenditori rifugiati nelle speculazioni delle commesse pubbliche; si pensi al settore telecomunicazioni e ancor di più a quello delle autostrade: una classe di imprenditori senza la cultura del rischio. A questo fallimento fa da contraltare un numero sempre maggiore di piccoli imprenditori che operano egregiamente, ma che non hanno le risorse per ingrandirsi.

- La nuova Fiat avrà sede legale ad Amsterdam, sede fiscale in Gran Bretagna, sede operativa a Detroit. È normale?

- È l’epilogo naturale di una storia gestita male. Il finale poteva essere diverso, ma nessuno si è adoperato per cambiarlo. Chi si stupisce mi fa sorridere. Da anni Fiat negoziava con Serbia, USA e Brasile, evitando trattative serie con l’Italia. Abbiamo aperto, anzi spalancato le porte allo straniero, salutando e applaudendo come se invece di essere colonizzati fossimo noi i conquistatori. Una Ue sana dovrebbe intervenire e sanzionare il comportamento Fiat, ma non esiste un’Europa unita a livello sociale e politico. Quindi vediamo di tutto: Fiat ne è soltanto un esempio. Il caso Electrolux, invece, è avvilente. Si sono messe in competizione Polonia e Italia, ma la forza della Polonia stava nella leva della propria moneta, oltre che di tutte le agevolazioni garantite dall’Ue. Bisogna uniformare l’Europa, altrimenti si è destinati a vederla implodere dentro una in crisi perenne.

di Marco Fontana - Pubblicato da La Voce della Russia

Commenti
Non ci sono commenti a questo post