Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
31 marzo 2014

Pubblica Ammistrazione: fuori i vecchi, dentro i giovani

Ma alla fine si è poi così convinti che la rottamazione dei funzionari pubblici sia la panacea di tutti i mali? Il premier Renzi ci crede strenuamente e infatti ha proposto la staffetta generazionale: fuori 85mila “vecchi” dalla P.A. e largo ad altrettanti giovani.

Nel governo, però, il conflitto è già scoppiato; in queste ore si sta svolgendo lo scontro tra la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini e quella della Pubblica Amministrazione Marianna Madia, le quali hanno visioni antitetiche sul provvedimento in oggetto. Un sistema sano non ha bisogno di mandare a casa gli anziani per far entrare i giovani , ha tuonato la Giannini replicando alla giovane esponente del governo, che aveva commentato l’inizativa con queste parole: Va avviato un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e più in generale dei dipendenti vicini alla pensione, per favorire l’ingresso dei giovani .

A prescindere dal fatto che se non si cambia la Legge Fornero si rischiano nuovi esodati, l’Italia non ha ancora risolto i danni provocati dall’ex ministra del Lavoro con la sua riforma delle pensioni. Ad oggi lo Stato ha infatti trovato una soluzione soltanto per 38mila italiani colpiti dalla stangata Fornero: ne restano scoperti ancora 122mila. A parte questo, le conseguenze di un ricambio alla pari, cioè fuori uno dentro l’altro, sarebbero molteplici. In primo luogo: un Paese che ha appena innalzato l’età pensionabile (anche per quelle persone che svolgono lavori usuranti) può affermare con coscienza che avere 50 anni nel pubblico impiego sia eccessivo e crei inefficienze? Il governo Renzi dice di sì, facendosi forte di un recente studio compiuto da Confcommercio che attesta come l’età media dei nostri funzionari sia altissima: la nostra percentuale di dipendenti con più di 50 anni è il 53,2%, la Grecia ha il 37,3%, la Francia il 30,5% e il Giappone il 25%. Comunque, delle due l’una: o le regole valgono per tutti o non valgono per nessuno. E sicuramente il lavoro di un funzionario pubblico non può in alcun modo essere più usurante di quello di un operaio o di un medico di corsia.

In secondo luogo, siamo così certi che sia necessario uno scambio alla pari? È vero, l’Italia ha fatto registrare dal 2006 una tendenza discendente nel numero di dipendenti delle Amministrazioni pubbliche, al contrario dell’UE dove il pubblico assumeva di più. Rispetto al dato del 1995, in Italia si osserva una riduzione complessiva di circa 130mila unità, cioè meno 3,5%. C’è tuttavia un piccolo particolare che in queste statistiche non viene conteggiato: le migliaia di lavoratori co.co.pro e a tempo determinato che nello medesimo periodo sono state acquisite dagli enti locali e ministeriali. Una forma di precariato di Stato legalizzato. E vi è poi il numero di dipendenti, collaboratori e consulenti che, in continuo aumento, sono stati fatti assumere dalle migliaia di partecipate para-statali. E infine tutti quei dipendenti che sono transitati per quelle aziende e agenzie che oggi gestiscono servizi esternalizzati: un comodo escamotage per aggirare il patto di stabilità e il blocco del turn over. Alcune fonti parlano di circa 190mila nuovi lavoratori assunti con queste modalità dal 2006 ad oggi. Un dato che se confermato porterebbe il saldo dei dipendenti pubblici ad un incremento di 60mila unità. È quindi tutta da verificare la necessità di nuove assunzioni.

La realtà è che il Paese dovrebbe lavorare e concentrarsi sull’efficienza dell’apparato pubblico. Cioè sulla sua capacità di rispondere alle esigenze degli utenti con qualità e in tempi certi. Una questione che apre il fronte della reale possibilità di premiare chi produce veramente. Secondo la Cgia di Mestre, il nostro paese è fanalino di coda in Europa per il livello di efficienza offerto dalla Pubblica amministrazione e per la qualità del rapporto tra prestazioni erogate e spesa pubblica sostenuta .

Nel mondo siamo addirittura al 97° posto. Nel periodo tra il 2005 e il 2009 per gli statali è stato investito il 16,4% del Pil (pari a 248 miliardi di euro). In Spagna il 15,9% del Pil (in valore assoluto pari a 162 mld), in Austria al 13,8% del Pil (37 mld) e in Germania la spesa ha toccato “soltanto” l’11,5% del Pil (273 mld). Insomma, lo Stato italiano è spendaccione, ma non riesce nemmeno ad assicurare servizi efficienti ai fruitori finali, cioè i cittadini.

Purtroppo l’approccio del Governo pare orientato, fino a prova contraria, a un travaso matematico: tanti prepensionamenti, tante nuove assunzioni. Un atteggiamento radicale che sembra essere il filo conduttore di questa Nuova Repubblica Renziana. Basti pensare alla rottamazione del Senato, un’Istituzione che merita una riforma non di pancia, ma di sostanza. Su questo punto prevale nuovamente la volontà di abolire l’esistente senza preoccuparsi di che cosa verrà. Purtroppo però una cosa è certa: il nuovo Senato non sarà più eletto dal Popolo. E questo sarebbe un passo in avanti? Questa, comunque, è un’altra storia: arrivederci alla prossima puntata.

di Marco Fontana - Pubblicato da LA VOCE DELLA RUSSIA

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