Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
03 giugno 2014

Con Renzi l’Italia alla prova dell’ultimo imperatore

L’esito delle elezioni europee archivia, forse una volta per tutte, la Seconda Repubblica in Italia: è questo il risultato più netto che esce dalla tornata elettorale continentale. Matteo Renzi non ha vinto, ma ha letteralmente stravinto, rottamando le vecchie liturgie di un Parlamento autoreferenziale e di coalizioni fossilizzate in rendite di posizione ventennali. 

Questa clamorosa vittoria porta un altro elemento di novità: in un colpo solo l’attuale presidente del Consiglio ha sbaragliato sia gli avversari che i compagni di corsa, ottenendo dei numeri che nessuno si sarebbe immaginato, sondaggisti per primi. Non sfugge infatti come insieme al centrodestra, azzoppato da un leader a mezzo servizio e sub judice, siano stati travolti anche tutti i partiti di sinistra e ancor di più gli oppositori interni al Partito Democratico, i quali da mesi ostacolano la cosidetta stagione delle riforme.

E così, dopo questa vittoria, Renzi si ritrova ad essere l’uomo solo al comando, catapultato, suo malgrado, più che nella Terza Repubblica in una sorta di restaurato Impero nel quale è stato investito del dominio assoluto. È chiaro che si tratti di un’affermazione forte, ma che semplicemente constata e descrive le aspettative di cui gli italiani hanno riempito il loro voto. Oggi l’ex sindaco di Firenze non trova opposizione neppure nei corpi intermedi dello Stato, come sindacati, giornali, università, mondo della scuola e universo della finanza, che sono tutti schierati nella sua acritica contemplazione, lasciandogli fare quello che a nessuno sarebbe stato permesso prima di oggi.

Gli 80 euro elargiti nelle buste paghe di alcuni - non certo di tutti - sono l’emblema di questo vuoto pneumatico di opposizione. Sembra pure troppo facile il paragone con Berlusconi, quando il leader del centrodestra veniva messo in croce per l’abolizione dell’Ici (la tassa sulla prima casa), un provvedimento che secondo le sinistre aveva dissestato i conti dello Stato. Oggi invece Renzi si è permesso di spendere 10 miliardi senza che alcun Solone di sinistra, radical chic o intellettuale da palcoscenico, ma nemmeno alcun professore di economia si sia alzato affermando che l’Italia così rischia il default. Un provvedimento tanto più esecrabile laddove si pensa che i cittadini arrivavano all’incasso giusto giusto qualche giorno prima del fatidico 25 maggio: proprio il giorno della consultazione elettorale. Poco importa che alcune Amministrazioni locali si preparino già a chiedere indietro la prebenda, visto che numerosi cittadini che l’hanno ricevuta non ne avrebbero dovuto godere. Ancor meno conta che questa norma sia incostituzionale, perché non soddisfa la proporzionalità nella tassazione.

Il problema sta tutto qui, nella mancanza di qualcuno che osi dire che stiamo affidando un mandato in bianco a un uomo solo. In questi giorni sono in discussione provvedimenti importanti, come la riforma della legge elettorale e del Senato della Repubblica. I testi proposti dal leader del Pd sono grotteschi, improntati ad un’idiosincrasia verso il diritto di voto: il tentativo è sempre di più quello dell’elezione indiretta dei rappresentanti da parte dei cittadini. O attraverso liste bloccate, decise dai partiti, o mediante nomina da parte di terzi. Un vero esproprio del diritto al voto, nel senso più alto del termine, che rischia di non vedere alcun girotondo né alcun corteo a difesa della Costituzione italiana. E questo a causa della scorpacciata di voti che il Pd-Ds-Pds-Pci ha ottenuto per la prima volta nella sua storia.

Non basta essere decisionisti, bisogna anche compiere le scelte giuste. Oggi di decisionismo se ne vede tanto in Italia ma di scelte di buon governo ben poche. Si sta procedendo con la politica della ghigliottina: una politica ipocrita che penalizza i più deboli lasciando al loro posto i poteri forti. Si pensi al caso dell’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Moretti, il quale tuonò:

Con i tagli agli stipendi i manager andranno via dall’Italia. Io prendo 850 mila euro l’anno, il mio omologo tedesco ne prende tre volte e mezzo tanti. Siamo delle imprese che stanno sul mercato ed è evidente che sul mercato bisogna avere anche la possibilità di retribuire non dico alla tedesca e nemmeno all'italiana ma in maniera dir poter far sì che i manager bravi vengano dove ci sono imprese complicate
.

Ci fu una grandiosa levata di scudi contro Moretti, la rete si indignò, i politici risposero sbeffeggiandolo. Lo stesso Renzi affermò: Confermo l'intervento sugli stipendi dei dirigenti pubblici. Sono convinto che quando Moretti vedrà la ratio sarà d'accordo con me. E infatti la ratio si vide quasi subito: Moretti fu promosso proprio dal Presidente del Consiglio alla carica di Ad di Finmeccanica, una posizione che gli permette di prendere uno stipendio maggiore di quello spropositato che raccoglieva alle Ferrovie. Peccato, però, che nessun giornalista abbia osato sottolineare l’incongruenza.

Ed è proprio per questo che il Belpaese rischia di dare presto agli italiani dei bruschi e inaspettati risvegli. Non è detto Renzi non sia il primo e l’ultimo imperatore di questa nazione decadente.

di Marco Fontana - Pubblicato da LA VOCE DELLA RUSSIA

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