Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
25 agosto 2014

Startup Italia, sta crescendo una piccola Silicon Valley

Ogni anno un piccolo esercito di italiani giovani e meno giovani va a cercare fortuna all’estero. In risposta a questo esodo c’è una schiera di cittadini che non si arrende e che cerca di realizzare in Italia i propri sogni: sono i cosiddetti startupper, gli ideatori di aziende innovative (le “startup”) che hanno come oggetto sociale lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico.

Come riferisce Stefano Firpo, capo della segreteria tecnica al ministero dello Sviluppo economico, a febbraio le società innovative iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese delle Camere di Commercio erano appena 1700, ma a fine giugno già 2221. E così anche da noi cresce una piccola Silicon Valley, che siamo sicuri contribuirà all’ossatura di un nuovo tessuto imprenditoriale. Un ricercatore della Bocconi ha elaborato il profilo medio dello startupper italiano: maschio, sulla trentina, del nord, crea l'impresa con pochi amici, e inoltre grande genialità, tendenza alla parcellizzazione e insofferenza per la burocrazia. A sostegno vi sono spesso le Università, che hanno istituito appositi incubatori d’impresa con il compito di aiutare le aziende a sopravvivere nella fase in cui sono più vulnerabili, ossia quella di startup. Forniscono assistenza manageriale, accesso a finanziamenti, servizi di supporto tecnico.

Tra le regioni più vitali per le startup spicca il Piemonte: proprio per questo La Voce della Russia ha deciso di approfondire il tema con Giuseppe Serrao, responsabile operativo dell’Incubatore 2i3T dell’Università degli Studi di Torino dal 2007.

- In che cosa consiste il lavoro degli incubatori universitari?

- Principalmente nel diffondere quella che noi chiamiamo la “cultura dell’imprenditorialità”. Una cultura che è latente in ogni individuo, in base alle proprie capacità e competenze. L’obiettivo è che da questo lavoro possa scaturire un gran numero di idee e di potenziali startupper. Sta poi all’incubatore fare scouting dei migliori progetti e soprattutto delle persone o dei team più motivati. La forza del nostro lavoro è il “non buttare via nulla”. A volte l’idea espressa da una persona non è sostenibile economicamente alla prova dei fatti da un punto di vista imprenditoriale, ma l’attività di accompagnamento permette di conoscere un individuo con ottime competenze che potrà essere impiegato in un momento successivo per integrare altri progetti che stiamo conducendo.

- Dopo aver selezionato le idee che cosa succede?

- Aiutiamo gli startupper a realizzare l’analisi di fattibilità dell’idea. Vengono cioè considerati gli elementi fondamentali per chi vuole avviare un’azienda: definire qual è il prodotto o il servizio che si vuole produrre, il grado di originalità dell’idea, il mercato potenziale, la sostenibilità e il fabbisogno che il futuro prodotto soddisfa. Superata questa prima valutazione si passa alla fase del business plan, dove l’idea viene scomposta ulteriormente per comprendere i costi reali del progetto e si studia come proteggerne la proprietà intellettuale. Solitamente il suo orizzonte temporale è triennale.

- Il business plan è centrale per una startup?

- Assolutamente sì. Siamo di fronte a soggetti che partono da zero, perciò in tale documento si chiariscono tutti quei dubbi che nascerebbero qualora sia varata l’attività. Cerchiamo di porre il futuro imprenditore nelle condizioni di operare a ragion veduta. È chiaro che devono essere continuamente fissati obiettivi nuovi di breve e medio termine, poi va verificato in corso d’opera se i risultati vengono conseguiti, spostando il traguardo sempre più avanti. L’incubatore ha la funzione di sollecitare l’imprenditore a puntare sul mantenimento dell’originalità del prodotto. Infine ricordiamo che il business plan costituirà l’elemento centrale per poter chiedere i finanziamenti per la realizzazione dell’idea. E si sa che quello della ricerca del credito è un momento da non sottovalutare.

- L’incubatore ingaggia finanziatori?

- Certamente. L’incubatore universitario si fa collettore con fondi pubblici e privati dei progetti che ha avviato. Non entra però con propri capitali, cosa che fanno invece nei business incubator privati.

- Qual è il grado di mortalità delle startup?

- In pochi anni abbiamo contribuito a creare 40 imprese altamente innovative. Di queste, 36 sono ancora in attività e una è stata inglobata in una più grande: il tasso di sopravvivenza quindi è molto elevato. Il problema non è però la mortalità, ma aumentare ancora la natalità delle startup. Nei prossimi anni sarà fondamentale da parte nostra potenziare la messa in rete dei principali stakeholder territoriali e sollecitare l’introduzione del public procurement (ovvero le commesse pubbliche) per aiutare in fase iniziale la messa in produzione delle idee più costose.

- Come sta rispondendo il mondo del credito all’esplosione delle startup?

- Ha una elevata avversione al rischio. Ma in questo può soccorrere il pubblico come figura garante, che permetta di accedere a tassi d’interesse vantaggiosi. Siamo ancora lontani dal poter contare in Italia su venture capital come quelli russi, americani e israeliani. Stiamo muovendo i primi passi da meno di dieci anni e quindi ci sono tutte le potenzialità per diventare punto di riferimento nel mondo, visto anche il grado di preparazione e d’innovazione che caratterizza il nostro capitale umano qualificato. Su questo punto lo Stato potrebbe darci un grande aiuto aumentando gli investimenti sulla ricerca.

- Esempi di startup più significative?

- Ne cito due per motivi totalmente diversi. La prima è una startup che si occupava della caratterizzazione dei funghi eduli, cioè d’impiantare delle tartufaie. Ha chiuso perché il team non era sufficientemente motivato. Lo considero comunque un esempio positivo, perché si cresce anche grazie a situazioni negative. Nei Paesi più innovativi la prima cosa che ti chiedono è quante startup hai creato: l’insuccesso infatti non è vissuto come una macchia sul curriculum, ma come esperienza arricchente in quanto il secondo tentativo andrà di sicuro meglio del primo. L’altro caso è quello di un giovane laureato dottorando in fisica, che ci ha presentato la sua idea nell’ambito dell’adroterapia, un settore particolare della medicina che tratta tumori che si trovano in posizioni molto delicate del corpo. L’abbiamo aiutato a costruire un business plan che gli permettesse di presentarsi a dei finanziatori svizzeri. Grazie alla sua caparbietà e al nostro sostegno la produzione non è stata spostata in Svizzera, ma è rimasta in Italia. A meno di quattro anni dalla sua nascita, oggi vende nel mondo i suoi apparati e conta già 10 dipendenti con un livello di scolarizzazione molto elevato.

di Marco Fontana - Pubblicato da VOCE DELLA RUSSIA

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