Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
15 gennaio 2015

Jobs Act: solo un bluff o è davvero un cambiamento?

È profondo rosso per i dati sull’occupazione in Italia. I centomila posti nuovi millantati da Renzi sono stati smentiti dall’Istat, secondo cui nel 2014 ne sono stati persi 48mila, nonostante il primo pacchetto di mini riforme sul mercato del lavoro sia in pista da qualche mese. Vi sarà un’inversione di tendenza grazie al Jobs Act, fresco di approvazione parlamentare? L’attuale premier vi aveva investito molte promesse nel suo percorso di avvicinamento alla poltrona di Capo del governo. Ora che è legge (si attendono solo i decreti attuativi, già scritti e in discussione) La Voce della Russia ha chiesto un’opinione a Franco Chiaramonte, direttore dell’Agenzia Piemonte Lavoro.

Un esperto che aveva già prestato la sua consulenza presso Enea, Unioncamere, Italia Lavoro, Associazioni Professionali e che ha diretto l'Agenzia del Ministero del Lavoro, impegnandosi nell’innovazione dei sistemi nazionali per la mobilità (avvio del sistema Borsa Lavoro), nella creazione del sistema di cooperazione fra i sistemi informativi delle Regioni e del Ministero, nei modelli innovativi di analisi dei dati a supporto delle decisioni. In questi anni ha anche progettato il primo sistema nazionale di matchdomanda-offerta basato sulle competenze richieste/possedute.

- Dottor Chiaramonte, Confindustria ha tagliato le stime del Pil per fine anno: per l'Italia un -0,5% (invece che -0,4% come da previsioni Istat). Il Pil pro-capite è sceso ai livelli del 1997. Quanto ha influito la crisi internazionale e quanto invece la mancanza di riforme del mercato del lavoro?

- Un’importante ricerca McKinsey di inizio 2014 stima che in tutta l’Europa mediterranea la crisi abbia avuto un impatto di dimensioni ampliate a causa delle inefficienze del mercato del lavoro. In Italia la componente riconducibile a tali inefficienze viene valutata in un terzo della dimensione del fenomeno, in particolare a causa della disoccupazione giovanile. Le cause principali sono invece la distanza fra le competenze richieste dalle imprese e quelle possedute da chi cerca lavoro e la scarsa efficienza del sistema dei servizi e delle politiche cosiddette attive. Quindi il ritardo e l’assenza di adeguati cambiamenti ha notevolmente contribuito ad aggravare la crisi. Aggiungerei che il ritardo dei giovani nell’ingresso nel lavoro, causato dalla riforma Fornero, è stato un ulteriore fattore che ha certamente peggiorato le cose, considerando pure che abbiamo tenuto lontane le prime generazioni digitali.

- L'Europa continua a parlare della necessità di riforme in Italia. Il Jobs Act varato dal premier Renzi va in questa direzione?

- Credo sarebbe utile adottare un approccio alle politiche del lavoro maggiormente pragmatico. Oggi la tecnologia ci permette di valutare e misurare agevolmente gli effetti delle politiche e sarebbe essenziale provare a discuterne i risultati, correggendoli se non funzionano. Per il Jobs Act sappiamo che è largamente ispirato alla riforma tedesca dei primi anni 2000 e possiamo dire che in Germania ha funzionato. Difficile prevedere quanto il contratto a tutele crescenti potrà sostituire forme troppo precarie di rapporti di lavoro (o quanto sostituirà l’apprendistato professionalizzante) e indurre ad una crescita generale dell’occupazione; certamente per la prima volta si punta alla convenienza di una forma contrattuale qualitativamente “migliore”, mentre fino ad oggi si faceva in pratica l’opposto, cioè disincentivare e reprimere, con risultati di scarso impatto.

- Che cosa si può salvare in Italia? Una parte del sindacato si arrocca nella difesa degli attuali assetti.

- Il mercato del lavoro è inefficiente, perciò perché dovremmo difendere l’attuale quadro di regole che hanno penalizzato lavoratori e imprese? In verità il Jobs Act scopre l’acqua calda sull’estensione delle tutele contro la disoccupazione, accompagnata a politiche attive per il reinserimento collegate e condizionate. Già da anni queste modalità sono presenti nella normativa nazionale, ma sono rimaste inapplicate: vedremo se sarà la volta buona. La partita però si gioca su altro. La rivoluzione più importante richiede servizi più efficienti, politiche personalizzate, accesso a un’offerta formativa legata alla domanda del mercato e finalizzata alla riqualificazione, certezza e univocità dell’applicazione di eventuali sanzioni, ma anche lo sviluppo di una cultura delle parti sociali orientata a ridurre al minimo i periodi nei quali le persone escono dal lavoro, incentivandone comportamenti attivi.

- Insomma il sindacato, il mondo delle imprese, le famiglie, gli studenti, la politica devono cambiare priorità?

- È tutto il corpo sociale che deve svoltare verso una logica di “ricollocazione”, contrastando una visione rassegnata della ricerca di lavoro e i comportamenti opportunistici - come lavorare in nero mentre si percepisce un ammortizzatore sociale.

- In sintesi, come cambia la vita dei nostri lettori con questa legge?

Sempre ipotizzando i contenuti dei decreti attuativi, se sei alla ricerca di lavoro è probabile che ti propongano il nuovo contratto a tutele crescenti, visto che sarà più conveniente dell’apprendistato. L’azienda potrà interrompere il rapporto di lavoro riconoscendo un indennizzo che sarà crescente nel tempo. Il licenziamento potrà essere revocato dal giudice nel caso sia riconducibile a ragioni discriminatorie. Se perdi il lavoro, la tutela dell’ASPI sarà maggiore e più lunga in ragione del periodo di contributi versati dal lavoratore e dall’impresa, e le tutele sono estese anche ai lavoratori con contratti di collaborazione (contratto che però dovrebbe essere soppresso). La tutela dalla disoccupazione sarà condizionata alla partecipazioni alle “politiche attive” (formazione/servizi etc.). Qui dovrebbe inserirsi la sperimentazione del “contratto di ricollocazione”, ancora fermo da un anno, che dovrebbe intervenire immediatamente al momento della perdita di lavoro e coinvolgere agenzie specializzate nella ricollocazione. È prevista un’estensione della tutela della maternità. La cassa integrazione non sarà più concessa in caso di aziende ormai chiuse. È evidente come il tentativo generale vada verso un sistema che incentiva meno il permanere negli ammortizzatori passivi (sostegno al reddito) e di più un modello vicino a quello dei Paesi nordeuropei. Questo modello richiede significative risorse per le politiche attive e servizi efficienti. Il Jobs Act prevede la costituzione di una agenzia nazionale che dovrebbe lo strumento protagonista di questo cambiamento. Ma l’Italia ha i soldi per farlo?

di Marco Fontana - Pubblicato da La Voce della Russia

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