Dichiarando illegittimo il provvedimento Monti del 2011, che prevedeva il blocco degli adeguamenti pensionistici per gli assegni superiori a tre volte il minimo Inps (1.443 euro), la Consulta ha infatti lanciato un fulmine a ciel sereno su quel piano di Renzi di mettere mano alle pensioni nel tentativo di raddrizzare il malandato bilancio del Governo. E sono sempre più gravi i dubbi dell'Ue sul rispetto da parte italiana dei ferrei parametri imposti dai trattati internazionali, in primis il Fiscal Compact. Il conto della pronuncia per saldare il dovuto è salatissimo: l'Avvocatura dello Stato e la Cgia di Mestre hanno ipotizzato una cifra tra i 13 e i 17 miliardi. Insomma, altro che tesoretto! Già, quel patrimonio che esisteva solo nella mente confusa del premier, calcolato su una previsione ottimistica dell'aumento del Pil. E allora, il governo Renzi rischia così il default sociale: trovare quei fondi comporterebbe in autunno una manovra correttiva dagli esiti devastanti, in termini di aumento della pressione fiscale su imprese e persone fisiche. Gli ultimi tre governi hanno già ampiamente raschiato il fondo del barile, tassando qualsiasi cosa, impiegando una fantasia diabolica che se fosse stata indirizzata verso il risanamento avrebbe forse evitato molti suicidi per crisi.
Quanto affermato dalla Corte Costituzionale è un feroce atto d'accusa verso le politiche adottate dai governi italiani in questi ultimi anni. La sentenza recita: sono stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività. Sono stati quindi intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38). L'ex premier Monti prova a difendere il provvedimento scaricando le colpe sull'Europa: Il blocco delle indicizzazioni sulle pensioni era strettamente indispensabile. Quello della Corte è un mondo calmo, riflessivo, che deve ragionare ex post e non è esposto alle tempeste che i governi devono affrontare in situazioni di emergenza (vedasi attacco dell'Ue al governo Berlusconi sulla vicenda spread). Il nostro primo dovere allora era evitare il default. In quel caso, come oggi in Grecia, sarebbero state a rischio le pensioni, non solo il loro aumento per recuperare l'inflazione. Ancor più goffa la difesa d'ufficio di Zanetti, che all'epoca era sottosegretario alle Finanze: È ingiusto rimborsare tutti, niente soldi sopra i cinquemila. Sarebbe amorale. Strano non abbia applicato la stessa veemenza quando furono risarciti i pensionati d'oro! La sentenza del 2013 emessa dalla Corte Costituzionale sanciva che il prelievo straordinario del 5/10% alle pensioni sopra i 90/150mila euro era incostituzionale e costò 80milioni di euro allo Stato Italiano. Si sa, alcuni pensionati valgono più di altri e la morale funziona a intermittenza, secondo il soggetto alla quale si applica.