Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
23 dicembre 2015

Pensioni, rischio di assegno più magro - Intervista professore Giulio Diale

Si aggira minaccioso lo spettro della semi povertà tra i giovani che andranno in pensione nei prossimi anni.

Lo si evince dallo studio presentato da Tito Boeri, presidente Inps, in cui si legge: L'assegno previdenziale di una persona della classe 1980 sarà del 25% inferiore a quelle di oggi (classe 1945), tenendo conto degli anni di percezione e utilizzando lo scenario di crescita del Pil dell'1%.

I dati provengono da un campione di 5.000 lavoratori classe ‘80: i 35enni di oggi prenderanno nell'intera vita pensionistica un importo complessivo circa il 25% inferiore a quello della generazione precedente, pur lavorando fino a 70 anni. Aggiunge Boeri: Se si guarda alla distribuzione per età alla decorrenza delle pensioni dirette del Fondo lavoratori dipendenti tre quarti sono state percepite prima dei 60 anni. Secondo le proiezioni Inps per i lavoratori classe 1980 solo il 38,67% la prenderà prima dell'età di vecchiaia, che per gli attuali 35enni significa nel 2050 a 70 anni di età. Sarà più basso quindi il trasferimento pensionistico complessivo (perché percepito per meno anni), ma anche il tasso di sostituzione medio rispetto alla retribuzione che sarà intorno al 62%.

Abbiamo posto la questione al professor Giulio Diale, associato di Metodi Matematici dell'economia e delle scienze attuariali e finanziarie presso il Dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Matematico-Statistiche dell'Università di Torino e Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Quantitative Finance and Insurance.

- Quali sono le zavorre che hanno portato al collasso il sistema pensionistico?

— L'elenco è noto: baby pensioni, pensioni d'oro, pensioni privilegiate. Ma dovremmo pure riflettere sulle pensioni minime, anche se sarebbe altamente impopolare: come si può chiedere un sacrificio elevato ai nostri giovani che lavorano e pagano i contributi, mentre viene concessa una pensione — pur minima — a coloro che non hanno versato nulla? È una palese ingiustizia. A onor del vero, molteplici possono essere state le cause dei mancati versamenti; quella più odiosa è il lavoro in nero, pratica diffusa in Italia. E se è vero che lo Stato dovrebbe sanzionare maggiormente le imprese che lucrano su di esso, è vero anche che la Pubblica Amministrazione non può farsi carico di sostenere tutti i cittadini che, per paura o scarso senso civico, non denunciano chi delinque sulla loro pelle.

- Senza baby pensioni e pensioni d'oro il sistema pensionistico retributivo italiano avrebbe retto?

— No, non poteva reggere comunque, per una questione di inconsistenza finanziaria e attuariale. È inaccettabile e iniquo che l'importo della pensione potesse dipendere dal solo numero di anni di anzianità, indipendentemente dall'età del pensionato, dalla dinamica retributiva e dall'aspettativa di vita: quest'ultima dipende non solo dall'età, ma anche dalle condizioni ambientali e di lavoro, e in tale direzione è stato introdotto nella normativa l'istituto dei lavori usuranti, con la nascita di numerosi contenziosi sollevati da diverse categorie professionali per vedersi riconosciuta tale qualificazione — fino al caso paradossale delle maestre d'asilo. Introdurre equità nel sistema richiederebbe attenta analisi caso per caso, ma sarebbe impraticabile per l'insorgenza di un'infinità di contenziosi. Citiamo a tal proposito le polemiche sorte quando nel sistema di calcolo retributivo si tentò di aumentare il numero di anni su cui calcolare l'importo medio delle ultime retribuzioni per determinare la prima pensione. Come succede spesso quando un sistema è vicino al tracollo, si passò bruscamente al metodo contributivo, che ora i diversi attori pretendono di modificare ed edulcorare, senza dire però con quali risorse.

- Oltre che dai privilegiati della Prima e Seconda Repubblica, le nuove generazioni da cosa saranno maggiormente penalizzate?

— Da due variabili: l'assenza di lavoro per i giovani e la stagnazione economica. Disoccupazione di lungo corso per i ragazzi tra i 18 e i 35 anni, con punte del 40%, significa abbassare drasticamente il montante pensionistico sul quale verrà calcolato il futuro assegno, per assenza di contributi. Se alla scarsità di questi ultimi si aggiungono un Pil che cresce poco e un'inflazione pari a zero, variabili sulla base delle quali si calcolano gli interessi sui contributi versati, si ha pure un montante che non si incrementa e che quindi rimane prossimo alla somma dei versamenti effettuati negli anni. In queste condizioni parlare di una futura riduzione degli assegni del 25% rispetto alle pensioni attualmente erogate potrebbe risultare addirittura ottimistico. Non resta che sperare nella ripresa economica, sia per creare maggiori occasioni di lavoro e conseguenti maggiori contributi pensionistici, sia per avere un più elevato tasso di interesse ai fini del calcolo del montante contributivo.

- Quale tasso di disoccupazione permetterebbe l'equilibrio del sistema pensionistico senza aggravare la situazione economica per i futuri pensionati?

— Sarebbe desiderabile un 7%, livello fisiologico per l'Italia. Attualmente, fino a 35 anni, i lavori per i giovani non sono veri lavori e spesso sono precari. Di questa situazione non si vede soluzione a breve. In un sistema contributivo più equo occorre però che i lavori siano stabili e con stipendi adeguati, altrimenti il montante contributivo crolla drammaticamente.

- In questo situazione come giudica la scelta del Governo di tassare i fondi pensione, effettuata nella precedente Legge di Stabilità?

— Si tratta di una contraddizione. Da più parti si invitano i ragazzi a risparmiare per integrare la propria pensione nella previsione che sarà troppo bassa, ma poi non si agevola tale tipo di risparmio. Lo Stato deve replica horloges considerare che un giovane che accede al sistema pensionistico integrativo peserà di meno in futuro e andrebbe adeguatamente incentivato.

di Marco Fontana - Pubblicato da Sputnik Italia
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