Marco Fontana
Marco Fontana
La voce delle Circoscrizioni
Circoscrizioni di Torino
12 gennaio 2016

Eccezioni in Italia: c'è anche chi rifiuta la poltrona - Intervista Paolo Vitelli

Nell'immaginario collettivo in cui i politici sono attaccatissimi alla poltrona, fanno notizia le dimissioni prima del termine naturale di un onorevole, il quale reputa "mal speso" il tempo trascorso in Parlamento.

Si tratta di Paolo Vitelli, patron della Azimut Benetti, leader mondiale degli yacht e vero ambasciatore del made in Italy nel mondo. Nella Seconda Repubblica si ricordavano solo due casi eclatanti, il prefetto Achille Serra e l'ex premier Enrico Letta. Approfondiamo con Vitelli le ragioni dell'addio alla politica per tornare all'imprenditoria.

— So che ci tiene a fare una premessa all'intervista…

— Tutti coloro a cui ho chiesto consiglio mentre valutavo questa scelta mi dicevano: "Fai come tutti. Stai lì ben pagato, non farti notare, non andare più in Parlamento, tanto lo stipendio lo prendi comunque e fai la tua vita come fossi un libero cittadino". Ecco il primo colpevole dei problemi nazionali: la mentalità italiana.

— Lei però non ha ceduto e si è dimesso. Vi sono altre ragioni?

— L'altra ragione è la mentalità da politico. Sarà che resto un imprenditore, ma proprio non ho potuto metabolizzare le troppe ore perse a discutere di procedure, di calendarizzazione dei lavori e di poltrone da occupare per non perdere terreno come partito e coalizione. Pochissimo invece era il tempo dedicato ai contenuti e alle riforme necessarie al Paese. Il parlamentare medio pensa solo a far carriera, a incassare l'indennità e a farsi ricandidare; una piccola minoranza presenta qualche emendamento complicando leggi già ingarbugliate o per ignoranza della materia o per far passare tra le righe qualche marchetta a favore del proprio collegio elettorale. Sono incompatibile con questa visione del mondo. Quando mi candidai, volevo portare la mia esperienza per migliorare l'Italia, non il mio conto in banca.

— La riforma del Senato ha risolto il problema della governabilità del Paese?

— Credo di no. Fino a che non modificheranno i regolamenti dei due rami del Parlamento, i politici continueranno ad essere inefficaci. Da vent'anni si discute sul cambiare le regole del gioco e dei rapporti tra maggioranza e opposizioni, ma finirà anche questa legislatura e non si sarà fatto alcun passo avanti.

In modo parallelo alla riforma di Camera e Senato, sarebbe poi importante affidare al Parlamento la competenza a fare leggi quadro e leggi deleghe, affidargli un ruolo di indirizzo mentre il dettaglio dovrebbe definirlo con provvedimenti propri il Governo, il quale ha l'apparato tecnico a sua disposizione.

— Come valuta il nuovo Senato di Renzi?

— E' un passo avanti, anche se non sono nemico del bicameralismo perfetto: il problema, ripeto, sono i regolamenti interni a Camera e Senato. Forse sarebbe stato più efficace eliminare completamente quest'ultimo, se proprio si voleva riformare l'ordinamento. Sono perplesso invece sul modo di nomina dei nuovi senatori, i quali, se potranno legiferare, avranno tale potestà pur essendo dei non-eletti.

— Da imprenditore, ci dica perchè l'Italia fatica tanto ad essere competitiva e produttiva.  

— Perchè Governo e Parlamento non affrontano mai tre questioni: la mancanza di certezza del diritto, la burocrazia e la tassazione eccessiva. Se non ci si impegna una volta per tutti su questi temi, non torneremo mai in alto. Il governo Renzi ha provato a intaccare queste problematiche partendo dal tabù del lavoro e delle sue liturgie sindacali, ma l'ha fatto marginalmente; dev'essere chiaro che promuovere per un anno o due il tempo indeterminato riducendo i contributi è solo un palliativo, che senza riforme durature presenterà presto il conto. Comunque è stato dato almeno un segnale di cambiamento: riducendo il potere del sindacato è arrivata una piccola iniezione di fiducia agli imprenditori.

— Esiste l'evasione di sopravvivenza, come dicono alcuni?

— A soffrire di più l'elevata pressione fiscale è il piccolo mondo economico, per il quale l'evasione diventa purtroppo una vera forma di sopravvivenza. La tassazione per le piccole partite Iva è insostenibile e personalmente ritengo sia persino in crescita. Avevo proposto una riduzione dei tanti contributi a pioggia che esistono sulle imprese, una razionalizzazione che valeva circa 35miliardi e che avrebbe liberato risorse utili per abolire completamente l'Irap. Purtroppo la mia proposta non è stata accolta: devo ammettere, più per colpa dell'apparato di funzionari che non per scelta del Governo. 

— La sua azienda è leader nel mercato della nautica. Qual è la situazione nazionale e internazionale? 

— Il consumo italiano è a un decimo di quello pre-crisi. La crisi ha giocato per un 50% e l'altro 50% è determinato dall'assocazione tra l'espressione "evasore fiscale" e la parola "diportista". Ma così non è. Ci saranno pure degli evasori nella nautica, ma così come ce ne sono tra chi compra ville. Purtroppo il danno d'immagine provocato dai governi che hanno mandato la Guardia di Finanza sugli yacht è stato devastante. Nel mercato internazionale c'è stato un mix di problemi: la crisi del 2008, quella del Brasile che stava diventando un'importante camera di compensazione per le esportazioni, poi le sanzioni della Russia e la stretta sulle operazioni finanziarie in Cina, infine l'instabilità politica in Medio Oriente. 

— Che cosa pensa delle sanzioni europee alla Russia?

— Oggi le restrizioni rendono più difficile e impopolare per i russi esportare denaro per comprare le navi made in Italy. Il nostro mercato si è ridotto da 25 a 12 barche all'anno e ora a 5. È una perdita considerevole. Sono contrario a questo tipo di sanzioni e l'ho detto al premier Renzi durante una riunione al Copasir: sarebbe relativamente semplice da parte dell'Ue riconoscere la possibilità alla Crimea di autodeterminarsi, in cambio di un impegno di Mosca a non espandersi ulteriormente in Ucraina. Ma il problema è molto ampio, perchè ai russi pesa il mancato impegno occidentale a non allargare ad est la sfera d'influenza Nato, e l'Ucraina è stata un'espansione ad est. A pagare per questo sono le imprese italiane: la lentezza con cui l'Ue non affronta il problema con la Russia è inaccettabile.   
 
di Marco Fontana - Pubblicato da Sputnik Italia
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